Archivio

Archive for the ‘Milano’ Category

La storia dei primi siti di writing italiani by Nitro, king of nerds…

27 febbraio 2024 4 commenti

Questa storia la volevo fare da anni, dal 1997 per la precisione. In quel momento ero arrivato online grazie ai miei fratelli e navigavo a destra e a manca con Alta Vista, che era il motore di ricerca che andava in quel periodo. Poi c’era Yahoo, una mega directory di siti catalogati tipo biblioteca e, a un certo punto, mi avevano parlato di questo motore fighissimo appena uscito, che era Google. Quindi vado con Alta Vista e trovo il sito di Nitro, porcaccia la miseriaccia con il mio mega sito di aerosol art ero arrivato secondo, anzi terzo. In quel momento Internet non veniva usato per essere la marchetta di se stessi sui social media: era più una roba cyberspaziale dove viaggiavi di bestia pensando a un futuro fatto di giffine minuscole, pace, amore, libertà e nerderia pesante. Quindi eccomi con la mega storia di Nitro e della sua web agency Workin Class, raccontata anche da tre ospiti d’eccezione. A voi per imperitura memoria, iniziamo con il raccontone di Nitro, big respect!

A memoria, il primo sito italiano di wiriting è stato Stradanove dell’Ufficio Giovani del Comune di Modena: aveva foto locali e un po’ dei nomi top italiani. Io ho iniziato con Geocities, la piattaforma di pagine personali più grande: avevi un builder con cui caricavi foto e testi, non potevi gestire il codice HTML. Il sito era Eternal Funk. Il nome a dominio era bellissimo: in quel momento, comperare un nome costava un casino quindi usavamo cjb.net, che ti dava un subdomain gratis. Tenevi l’hosting gratis su Geocities, poi nascondevi il domain principale con un frame di cjb.net e ci mettevi un nome più figo. Willy aveva fatto un jingle che c’è ancora su Youtube. Pubblicavamo i rap degli amici: Willy, La tavola rotonda, poi è arrivato Fritz. Vanni di Bari aveva scritto qualche recensione, all’epoca stava a Pavia: il nome mi sembra arrivasse da un suo mixtape. Volevamo promuovere le nostre cose: avevamo un muro a Corsico, uno in Giambellino dove abitava Nasty, Cone e io eravamo di Baggio. Roba di Corsico e Cesano. Tanti treni, sul Eternal Funk c’erano tutte le prime Nord, i primi marron glacé dipinti.

Uno dei siti importanti di quel periodo era HotMC, che è ancora online dal 1996: avevo conosciuto Simone Lippolis e ci eravamo scambiati i link. All’epoca dovevi chiedere per inserire un link, non si usava fare liberamente. Poi ci aveva segnalato anche Susan Farrell di Art Crimes: loro erano online dal 1994, erano i Godfather, il sito era fatto benissimo. L’ambiente online era molto ristretto in Italia: quando avevamo il picco di utenti mensile era tipo 30-40 persone. Quando ti scriveva qualcuno ti veniva da piangere: gente da posti remoti, non ti mandavano neanche le foto, erano solo saluti telegrafici e finiva lì.

Poi dopo ho imparato ASP, il linguaggio di programmazione dinamico di Microsoft che usava il database Access. Con Luca Seil2 facciamo anche noi un sito, Underground Revolution: era undergroundrevolution.cjb.net e poi urev.net perché avevamo un po’ più di budget. Era il 1998-2000. Il sito aveva già le categorie per ogni writer, era più moderno. In quel momento c’erano già più siti personali, ma che facessero vedere la scena per intero ancora pochi.

Poi da questa esperienza, mi sono aperto la web agency, nel 1999, Working Class. I primi clienti erano stati Esa e gli OTR con otr.it, il loro primo sito ufficiale in Macromedia Flash e poi anche videoclip. Poi Kaos, Neffa, Lugi, Guidance Crew a Milano. Con questi artisti avevamo avuto una bella visibilità e grazie a loro abbiamo conosciuto Alioscia, che ci aveva fatto fare il Ballantines Music Fusion. Poi Marco Conforti ci aveva fatto fare Platinette e siamo entrati in tutto quel giro di artisti.

Working Class è stata una palestra per tanti writer a Milano, che entravano con noi nel digitale. Un giovanissimo Giorgio Di Salvo, un giovanissimo Luca Barcellona, Marco Klefisch: sono stati tra i primi a entrare in agenzia come stagisti e poi dipendenti, che naturalmente pagavamo pochissimo perché non eravamo ancora grossi. Anche Simone di hotmc era venuto da noi per un periodo. Giorgio era un bravissimo grafico, stava ancora studiando grafica ma avevamo visto immediatamente le sue qualità. Lo facevamo lavorare con un computerino piccolissimo. Poi i clienti sono diventati grandi, abbiamo portato anche lì il nostro genere ispirato al writing. Omnitel Vodafone, Coca Cola, Nokia, Rizzoli New Media per cui facevamo i CD-ROM. Slam Jam. Poi siamo stati acquisiti dal gruppo Interactive e noi fondatori abbiamo mollato. Con Andrea Rasoli e Riccardo Trotta, nel 2006, abbiamo fatto i primi tre numeri di Vice, che poi loro hanno portato avanti per anni.

Per ultimo c’è stato Pimp My Train, che era il progetto di marketing dello shop Graffbay. Assieme a un amico programmatore molto bravo, Nazilla, avevamo programmato un piccolo motore dove tu disegnavi online sulle carrozze e poi le vedevi passare in un header del sito. Quindi ogni volta che accedevi al sito, vedevi passare i treni. Era fighissimo. Era fatto in Flash, super rivoluzionario come sistema. Poi il sito funzionava come un forum, la gente postava le foto. Il sito era gestito da Maox e i miei amici di Autistici, quindi diciamo che il server era super sicuro. Iniziava a esserci online la Postale, per cui era comodo, ci proteggeva parecchio sull’aspetto degli upload di foto. Poi c’era il blog. Valentina Porcozio, alter ego di Alessandro Mininno, grandissima autrice, da pisciarsi dalle risate. Tutti hanno bei ricordi di quel sito perché comunque faceva sorridere, in una Milano dove c’era un po’ un ambiente di super scazzi. Facevamo 1000-2000 visitatori al giorno, era una roba grossa nel suo genere.

Ale Fatbombers ci ha dato una testimonianza a suo modo fondamentale per inquadrare correttamente l’intersezione tra shitposting e hip hop italiano. Di questo gli daremo sempre credito, in quanto estimatori del “frottolaio popolato da mitomani”.

Per un po’ di anni ho avuto un sito che si chiamava fatbombers, che in realtà mi ha portato un po’ di fortuna ed è stato attivo negli anni 2003-2010 circa, fino a quando la mia attenzione verso il writing non si è affievolita. Raramente lo racconto, ma un giorno ho litigato con un cliente perché ha aperto fatbombers (sapendo che era il mio blog) e la prima immagine in homepage era una ragazza nuda che si ficcava un marker nel culo – al cliente non è piaciuto.

Quando ho conosciuto Nitro è stata una ventata di aria fresca: pimp my train era il primo luogo online dove non ci si prendeva sul serio e si poteva scherzare.

Immagina di trovare un blog in cui l’utente più attivo si chiama pennecolbooster e prende per il culo tutti. Ho voluto subito farne parte e per un bel po’ di tempo, in modo saltuario, ho pubblicato qualunque minchiata che avesse lontanamente a che fare col writing, con la cultura nerd o con un’intersezione delle due.

Alla fine ho scelto di postare con lo pseudonimo valentina porcozio (credo che all’inizio ci fosse proprio la bestemmia ma poi l’avevo cambiato), per non tirarmi dietro gli stessi hater che avevo su fatbombers. ne volevo di nuovi.

Ogni tanto pubblicavo qualche pannello nella gallery, che era sempre molto attiva e piena di cose nuove. leggevo sempre le cose che postavano gli altri utenti. Non conoscevo nessuno degli altri, credo (avevano tutti degli username buffi), ma avevo la percezione che fossero tutti simpatici. Ho riso un sacco.

Penso che nella storia del writing italiano su internet pimp my train abbia rappresentato una svolta nell’approccio al fenomeno: è arrivato in un momento in cui il writing aveva una storia abbastanza lunga da smettere di prendersi sul serio e iniziare a ridere. È stato l’inizio dell’era dei meme di graffiti.

Luca Bean ci ha mandato anche lui un ricordone, dal suo punto di vista peculiare di artista che ama la manualità e aborre l’alta velocità del digitale. Da qui emerge una lunga meditazione che farò stasera sul senso del tempo: ipervelocità come eterno futuro presente, in contrasto con uno dei suoi rari dischi da collezione così vecchi da essere ormai fuori dal tempo. Ne sarò capace? Forse con l’aiuto di un grande spinello di afgano del coffeshop di Amsterdam. Grazie.

Io e la tecnologia non siamo mai stati particolarmente amici, piuttosto due binari molto vicini che si osservano senza mai toccarsi. Ero uno da inchiostro e mani sporche, ho avuto quindi quella reticenza ad abbracciare il mondo del digitale a cui decisi di cedere leggermente più tardi di altri; ricordo benissimo uno scambio di saluti con Nitro, fuori dall’Indian Café un pomeriggio di fine anni ‘90, che mi chiese una mail per potermi scrivere, e la alla mia risposta “non ce l’ho!” la sua reazione fu “…ANCORA?!?”. Qualche anno dopo venni chiamato per uno stage da Working Class: non ero ancora freelance e non avevo ancora completamente cominciato la mia avventura nella calligrafia professionale, quindi passavo i pomeriggi in studio dopo il mio lavoro ufficiale part time. L’atmosfera era di quelle incredibili a pensarci oggi: come sempre accade in queste circostanze non ti rendi conto di quanto siano speciali, e di li a poco irripetibili, mentre le vivi.


Io mi occupavo più che altro di lettering, facevo progetti per copertine di dischi e pubblicità partendo dal disegno manuale e poi spippolando ore su Free Hand (prima) e su Illustrator (poi). Nitro e Riccardo (Trotta) avevano già competenze notevoli di web e computer grafica, tanto che in una delle pubblicità di Working Class si erano ritratti con Rasoli come dei geek con tanto di occhiali con montatura nera spessa, in mezzo a dei Macintosh di prima generazione. Simone Lippolis aveva gia il sito Hotmc.com, e mi fece un’intervista su Lingua Ferita, un disco del 2005 che avevo autoprodotto che a sua volta fu corredato da un sito fatto a quattro mani da Marco Klefisch e Giorgio Di Salvo (che lavorava in una scrivania di fianco a me). Credo fosse il primo sito dedicato ad un disco interamente in free download con un forum dedicato aperto sulla homepage. Nella stessa stanza lavoravano quindi una buona manciata di writer, che a loro modo trasferivano le loro esperienze di gusto e conoscenza in quel mondo creativo. Altri si occupavano credo di programmazione, me li descrivevano tutti come dei mezzi geni; di certo so che mettere tutte queste persone in una stessa stanza creava un clima cameratesco in cui stare seri, zitti e concentrati per più di un minuto era praticamente impossibile. Quelli che mettevano le cuffie per isolarsi subivano prese per il culo a loro insaputa…


Quello che dicevo, invece: è impressionante constatare come tutte queste persone abbiano poi seguito il loro talento come designer e imprenditori e artisti, eccellendo nei loro campi dando vita a progetti e collaborazioni fino a quel momento inimmaginabili.

Dopo la pubblicazione del post ci siamo visti con Marco Klefisch ed è emerso un altro pezzetto della storia di Working Class. Contributo stellare, che si intitola: Curvatura temporale tra web e writing ovvero “Vedrai quanto è profonda la buca” etc. etc.

Premessa
La cosa che ricordo con gioia di quegli anni di lavoro è la costante presenza delle risate. Ci fu un punto nel quale ogni volta che la mia compagna mi chiamava al telefono, mi sorprendeva a ridere. Morire dal ridere.

Al quel tempo fui assunto come art director in WC. Poi arrivarono un manipolo di amici, talenti, giovani virtuosi, tra stage e lavoro, a rimpolpare le fila di un team unico, improbabile e scoppiettante. In questo clima, tra goliardia e psicoterapia, va ricordato un momento che racchiude in sé l’essenza stessa dell’agenzia, l’approccio al business, l’energia, la fluttuante visione di un futuro migliore.

A colloquio con uno stimato art director ex writer con estesa esperienza Londinese, venuto a trovarci in vista di una collaborazione, il tono generale fu compassato e professionale tra scambi di reference, progetti sviluppati e vita mondana da scrivania.
Nel momento di spostarci dalla sala riunioni verso l’open space che ci ospitava tutti come team di sviluppo creativo, varcammo la soglia della stanza gesticolando e spiegando con serietà il valore del cuore pulsante dell’agenzia., il dipartimento creativo.
In quel secondo entrarono dalla porta, inconsapevoli del summit strategico, Miki editor video dell’agenzia e LS web designer e creativo di valore.

Scena
Miki inseguiva LS ridendo, zampettando e cercando di afferrare con mani avide qualcosa di prezioso avanti a sé. LS lo precedeva, scodinzolando e saltellando nel tentativo di mimare un coniglio vivace, con pantaloni e mutande calati sul retro, a far lampeggiare natiche bianchicce tra le quali era incastrato un vero pezzo di fumo (hashish).

A chiudere la coreografia che scompigliava la sala lasciando di stucco il nostro ospite anglo-pesarese, il ripetersi a gran voce di una frase, tra canto e recitazione, rimasta negli annali della cinematografia di genere nonché del web deesign: “segui il bianconiglio, segui il bianconiglio, segui il bianconiglio! Segui il bianconiglio per dio!”.
Ecco.


Conclusione
Difficile dire come il writing e il web si intrecciano in questo racconto… un sacco di input, un sacco di output… quel che so per certo è che se una cosa emerge chiara e lampante da questa storia è proprio la definizione di cosa sia il genio: “intuizione, colpo d’occhio, velocità di esecuzione.”

Firmato
Sasso Markoni

Categorie:Milano

L’arte di strada secondo Atomo…

13 gennaio 2024 Lascia un commento

Partiamo dall’inizio.

L’inizio son state le scritte in quartiere: dato che sapevo un po’ disegnare e avevo “una bella calligrafia”, ero quello prescelto per fare la propaganda sui muri, slogan e scritte politiche. Si facevano la notte, come contro potere di quartiere, per gestire i tuoi spazi sui muri in zona. Era un po’ un discorso di territorio. Con Swarz eravamo compagni alle medie. Eravamo Primaticcio e Legioni Romane, provincia di Baggio. Zona 18. Con lui e altri avevamo fatto la CC Band: la scuola era in via Crimea e noi eravamo la Crimea’s Cattiv Band. Qualcuno aveva i genitori che ci portavano dall’ufficio rotoli e rotoli di etichette bianche. Noi le facevamo tutte a mano con gli slogan: CC Band, Fumo Libero, Almirante in Galera, per il politico fondatore del Movimento Sociale Italiano che era stato funzionario del regime fascista. Avevamo fatto anche le spillette fatte in casa. Andavamo in giro per la metropolitana ad appiccicare sticker dappertutto.

Swarz, Atomo e Shah: Open Air Art Studio. Seconda foto: Gomma, Giacomo Spazio e Atomo.

E i primi pezzi?

Le prime scritte erano di pubblicità per la nostra fanzine, che si chiamava Fame ed era nata a Baggio da quattro amici. Io facevo i fumetti e la grafica: l’idolo di tutti era Pazienza, lui e Tamburini, per la rivista Cannibale. Fame nasce in un’osteria, La Locanda: era un posto liberato, dentro si fumava, si faceva di tutto di più. Era in uno dei luoghi più malfamati del quartiere, uno dei principali punti di spaccio di Milano, parco di via Rismondo. All’epoca di eroina ci moriva la gente un giorno sì e uno no. Noi combattevamo la cosa e c’erano stati tanti momenti di tensione con gli spacciatori: era malavita vera, c’era dietro un’organizzazione vera e propria, business. La Locanda era un punto di ritrovo anche dei primi punk, soprattutto a Baggio che era un quartiere di tamarroni: non era semplice fare il punk in quartiere. Dovevi menarti tutti i giorni: i compagni ti prendevano per matto ma non rompevano i coglioni, ma con i tamarroni bastava niente. O le davi o le prendevi: quando andava bene le davi, quando andava male te le portavi a casa. Alla Locanda poi eravamo diventati una bella banda, tra l’altro miscelandoci perché comunque anche il punk iniziava a diffondersi. Io stesso ero il capo dei tamarri, inizialmente eravamo stile fricchettoni, rock psichedelico, si andava al Parco Sempione a fumare, tutti con i capelli lunghi, frichetun.

Poi la svolta è stata la noia: mi rompevo i coglioni di passare tutti i pomeriggi fumato al Parco, senza fare niente per cambiare. Non c’erano mai soldi, si lavoricchiava ogni tanto, mille cose che non andavano nella società. Piano piano inizio a fare politica e smetto di fumare, 16-17 anni: inizio a diventare punk, perché mi sembrava una cosa più dinamica, più aggressiva. La fanzine era una delle cose che si facevano in quartiere: eravamo tutti comunque spiantati e senza mezzi di locomozione, l’ultimo tram che da Baggio ti portava verso il centro era intorno alla mezzanotte, ma poi non potevi tornare indietro. Per cui era anche difficile muoversi, te ne stavi in quartiere.

Immagine dal Libro FAME di Angela Valcavi.

Poi con la fanzine iniziano le frequentazioni, perché andavi in giro a distribuirla. Si parla della Calusca e delle Colonne, dove c’era un po’ un ritrovo di tutte le varie sottospecie esistenti. C’erano le bande di metallari, con le quali spesso scoppiavano risse. C’era qualche skinhead, con i quali spesso scoppiavano risse anche se all’epoca non erano ancora nell’onda nazista. C’erano anche dei frichettoni ovviamente, poi c’erano i fighetta. I rockabilly, detti drogabilly. C’erano i bikers. Il sabato pomeriggio il centro era alla fiera di Senigallia, che era in via Calatafimi lì dietro. Lì cazzeggiavi, trovavi tutti e sapevi se c’erano nuovi concerti, compravi fanzine e vestiti usati, il tam tam partiva da lì. Poi, dopo la fiera, si andava da Rattazzo o alle Colonne e iniziavano gli aperitivi, poi da lì scemavi verso la città a bande per la serata.

La Calusca e il pezzo Sado Maso?

Alla Calusca andavo spesso e volentieri con altri compagni, perché facevo già politica. Comperavo qualche libro o si facevano semplicemente chiacchiere con Primo, fonte costante di illuminazione. Poi dopo la Calusca è stata la prima libreria a tenere fanzine: ci aveva venduto bene Fame, siamo nel 1983-84. Non era scontato per una libreria, tantomeno per una politica dato che non eravamo visti benissimo dai compagni. Autonomi e anarchici erano già più vicini a noi. Con Primo nasce un’amicizia, tanto è vero che ad agosto aveva iniziato a fare le ferie lasciando a noi le chiavi della libreria. La saracinesca Sado Maso era nata qualche anno dopo in agosto, avevo la gamba ingessata (qui la storia da Giacomo Spazio). Immagina: in Calusca c’era un giro di intellettuali che arrivavano da tutto il mondo e si trovavano una banda di punk che ne combinavano una peggio di Bertoldo.

Foto della Calusca in S. Eustorgio (a destra) di Livio Senigalliesi.

Come eri venuto in contatto con il writing tradizionale?

Non avevo mai neanche sentito parlare di writing, non avevo minimamente idea di cosa fosse. Feci una vacanza in autostop con un amico: Innsbruck, Amsterdam, Berlino e ritorno, ’82. Quando siamo arrivati ad Amsterdam, il centro era qualcosa di fenomenale, non ti parlo di writing ma proprio di disegni, di stencil. Seguendo un po’ la moda dei tempi, la politica era di sottofondo, c’era poco. Vedevo le tag e mi dicevo: “Ma cazzo, vernice sprecata, ma perché non ci scrivono qualcosa.” Hugo Kaagman: avevo visto una murata lunghissima dove usava già le mascherine e mi ero innamorato. Allora torno tutto gargiulo e scopro che in America c’erano i treni, un fenomeno: da lì ho iniziato a interessarmi, a capire e scoprire. Considera che qualsiasi cosa da noi arrivava con 20 anni di ritardo. Poi iniziano a girare i primi libri, soprattutto Subway Art era stato importante. A me non piacevano troppo esteticamente, alcuni erano proprio dei cagnacci. Però mi piaceva l’idea, quindi se vuoi io nasco un po’ anomalo perché non prendo il writing newyorkese tale e quale, nasco già ibrido. Ti mescolo il writing al disegno, ma il mio writing era comunque basato su slogan politici.

Foto di Atomo e Matteo Santoni / Disan

Come è andata con gli stencil?

Un po’ perché lo stencil era immediatamente replicabile, quindi poteva essere anche un messaggio sparso in giro a sé stante. Un po’ perché ci piaceva molto questa idea pseudo Dada di bombardare i nostri pezzi con immagini ripetute, se no diventavi un muralista. In più avevi la velocità di esecuzione e il messaggio. Quello più storico era Milano da Pere, di Swarz: era un messaggio contro l’eroina preso da uno spot televisivo, con un Duomo che aveva siringhe invece delle guglie. Ne avevamo tantissimi: dato che bene o male avevi sempre a che fare con celerini e carabinieri, avevamo uno stencil che ripeteva il plotone, con il celerino ripetuto all’infinità per fare la truppa. Ce n’erano tanti, ma non ho le foto. Il punk incattivito con il coltello. La donna in tacchi a spillo con i due piedi legati dalla corda. Ne avevamo uno con le forbici e la linea tratteggiata: serviva dove passavano in grigioni a cancellare i pezzi. Lo usavamo per contornare la toppa di grigio con la linea tratteggiata dello stencil.

A memoria eri stato tu a battezzare il termine Grigioni.

Il nostro primo muro storico era in via Conte Rosso: lo facevamo ogni due giorni perché i grigioni passavano a cancellarlo. Ogni tanto ti beccavano anche. Una volta ci hanno proprio sequestrato tutto, avevano capito che era una roba politica… che era la cosa che gli rompeva più i coglioni. Volevamo simulare una strage, nel parcheggio immediatamente adiacente all’ingresso della stazione della metropolitana e delle ferrovie di Lambrate. Abitavo lì, all’epoca e, ogni mattina, a seconda dei turni che facevo, sei, sei e mezza, soprattutto d’inverno col freddo, tutti di fretta, tutti zitti, tutti grigi in faccia e tutti intabarrati. Una moltitudine di formiche che non si scambiavano uno sguardo, una parola, una roba veramente allucinante. Erano anche queste cose che ti stimolavano alla ribellione, a voler fare, a voler stupire e dare un’emozione, un minuto di riflessione, farti fermare un secondo a pensare. E quindi volevamo simulare una strage avvenuta lì nel parcheggio. Avevamo recuperato la vernice che si usa per le strisce pedonali e avevamo iniziato a fare sagome per terra, tipo quelle della polizia per fissare la scena del delitto. Dipingiamo qualche macchia di sangue in giro per terra. Poi ci hanno fatto terminare e sequestrato tutto. Quella vernice costava un botto: noi l’avevamo ottenuta grazie alle gambe della Letizia. C’era la squadra che faceva le strisce pedonali. Do 10.000 lire a Letizia e le chiedo se le va di aiutarci, chiedergli se ci vendono un bidone. Tanto loro che gliene frega. Era roba che all’epoca costava 80-100.000 lire a bidone. Allora lei va tutta gentile… era sempre in gonna e tacchi. Sì sì sì sì! Bam! A posto, abbiamo la vernice.

Ritratti di Atomo alla Richard Ginori di Sam Cosmai, grazie a Vandalo per la storia e la ricerca.

C’è un pezzo del 1987 dove siete intervistati con Sharp…

Gli americani avevano fatto il cavalcavia Bussa, nel periodo della mostra Arte di Frontiera. Io poi avevo legato solo con Sharp, lo avevo conosciuto a una festa da Achille, il tipo che faceva i cazzi con le ali. Sharp aveva fatto anche un pezzo illegale in via Sant’Orsola, dove noi avevamo fatto la prima mostra al locale La lepre di marzo. Era un ristorante pettinato. Noi andavamo un po’ in stile vecchi bohemien: andavi in trattoria a mangiare e dopo un po’, non pagando il conto, gli disegnavi qualcosa che tenevano lì esposto. Facevamo le saracinesche, gli interni dei bar perché lasciavamo i conti aperti.

Hai voglia di spiegarci la storia della TUPA?

Ma quella non era una crew, voleva essere una banda tipo quelle americane. Perché a Conchetta avevano fatto i BMXXX. I Bambini morti. E riempivano da tutte le parti. Noi ci eravamo dati il colore viola, all’epoca avevamo i bandana. E Marco Teatro aveva il bandana viola senza diritto ad averlo perché non era dei nostri. Una volta glielo ho fregato e si è andato a lamentare in Conchetta. E son dovuto andare a restituirlo. Ci eravamo fatti fare tutti le cinture con scritto TUPA, Tutto Per Amore: tutti facevano i duri e allora noi volevamo pigliare per il culo un po’ tutti… La Open Air Art Studio era la crew vera da artisti, con Swarz e Shah: lei è stata la prima writer donna in Italia. TUPA invece era una banda di scavezzacollo.

Quando i BMXXX avevano fatto la facciata di Conchetta con un muro autocelebrativo, noi avevamo fatto un topo che strizzava il collo a un gatto, sul muro che sarebbe stato della Calusca, lì a fianco. Il topo era un po’ il simbolo della TUPA, infatti aveva la fibbia della TUPA, mentre il gatto aveva la maglietta BMXXX. Era verso fine anni ’80.

Foto di Conchetta dal libro Graffiti Metropolitani – Ivo Baldieri. Foto della tag e di Swarz in P.le Lugano (a destra) di Livio Senigalliesi.

Anche la Gainoteca era un conto aperto?


Beh la Gainoteca era una roba d’amicizia, infatti con il Pelé poi finirò a fare gli spettacoli in teatro. Lui era uno dei ladruncoli della ligera milanese: Pelé e il suo socio li chiamavano Guarda e Roba, uno faceva il palo e l’altro rubava. Com’è e come non è, rimarrà sempre un mistero, si è riuscito ad aprire una trattoria in un posto molto affascinante, non sembrava di essere a Milano, era di fronte la cascina occupata di Vaiano Valle. Noi lì eravamo del giro, andavamo con quelli della Calusca e Primo: si andava lì ogni tanto e soprattutto era l’appuntamento fisso del primo maggio dopo il corteo. Tra una cosa e l’altra, pensiamo di metter su uno spettacolino teatrale per parlare un po’ di Milano, delle vecchie cose che hanno segnato un’epoca. Cose carine e simpatiche, spesso anche violente.

C’era Didi Martinaz, donna bellissima, cantante milanese e autrice: aveva cantato con I Gufi e con Gli Ombrelli, anche Jannaci aveva cantato una sua composizione, c’è un suo LP in giro e qui un video alla Locanda di Baggio. Aveva avuto un’osteria a Brera, era un pozzo di conoscenza, amicissima della moglie di Valpreda. Quindi, con Didi, abbiamo tirato in mezzo Piero Colaprico per la sceneggiatura, poi un regista che era direttore di teatro. Il primo spettacolo lo avevamo dedicato a Primo. Alla fine della fiera ci conoscevamo tutti, Milano era un paesone: lo spettacolo teatrale per noi era un gioco, non ci siamo mai presi sul serio, era un divertissment.

La Gainoteca: foto di Vandalo e storia alternativa qui.

Che posti frequentavate? Andavi sia al Plastic che al Leoncavallo?

Sì al Plastic ci andavo, ci ho portato anche Primo Moroni: lui nasceva come ballerino professionale, veniva e si divertiva. Abbiamo fatto tante di quelle battaglie a gavettoni nel parco lì davanti, poi spesso le battaglie in rissa. Non ero così settario, giravo. Per esempio, al Leoncavallo ci ero arrivato perché abitavo alla casa occupata di via Conte Rosso. Lì abitavano quelli del Leoncavallo un po’ più anziani: pian piano sono entrato a far parte del collettivo, sarà stato il 1983. All’inizio non ero visto molto bene: tieni conto che per loro il concerto di Capodanno era, giustamente, con il buon Ivan dalla Mea. Se c’erano due o trecento persone era un miracolo. Poi avevo tirato in mezzo Gomma e, nel 1984, avevamo organizzato il concerto dei DOA con lui e Maniglia. Cinquemila paganti più il resto della massa che non riusciva a entrare. I compagni del Leoncavallo erano allucinati, non ci potevano credere, mai vista una roba simile. Oggi Gomma mi ha mandato un pezzo della biografia del cantante dei DOA che parla di quel concerto come uno dei più bei concerti della sua vita, il miglior pogo che abbia visto nei suoi concerti. Lì era tutto il capannone che pogava, gente che si tirava da tutte le parti.

Ultima domanda: ci racconti dei Mondiali ‘90?

L’idea di quel muro era nata da Treves, Assessore ai Giovani. Avevano montato una tela gigantesca sul muro dell’Alfa Romeo, dove poi ci sarebbe stato il Portello con tutta la relativa speculazione edilizia. La tela era un’idea nata male già in partenza: avevano paura che, a far dipingere sul muro, poi sarebbe stato difficile abbattere tutto e distruggere le opere d’arte per fare il Portello. Ci avevano consegnato le tele non trattate, per cui c’erano tante tolle di vernice bianca per prepararle. Gente che se ne portava via a destra e a manca. A un certo punto arrivano le bombolette sponsorizzate da Dupli Color, le depositano all’Arci di Via Adige: andiamo li io Swarz con l’elenco dei writer che avrebbero poi partecipato all’evento. Non era stata fatta la catalogazione dei colori, quindi smonta tutto sto camion, dividi tutte le tinte, fai tutti i conteggi e poi dividi equamente uno scatolone per ogni partecipante. Quando il camion è arrivato al muro, puoi immaginare cosa è successo: migliaia di bombolette gratis e tutti i writer di Milano presenti. Abbiamo fatto felice tutta Milano, lì è iniziato il vero declino della città. Ci sono in giro le foto di stanze piene di vernice, gente che per anni ha dipinto con gli stessi colori. Dopo il furto del biancone, con gli spray era successo un casino e nessuno si fidava più a dipingere. Alla fin della fiera le tele son state vendute lì sul posto. Il giorno dopo gente che si ritagliava la tela, chi non aveva proprio dipinto, chi devastava tutto.

Un ringraziamento a Vandalo, Marco Teatro e Livio Senigalliesi per le immagini. Immagine di apertura dall’archivio di Livio.

Categorie:Milano

Archivistica, zine, università, documentari e sacelli ipogeici…

14 novembre 2023 1 commento

Questa settimana si chiude un cerchio: per una coincidenza di eventi tornerà il writing storico di Milano, in formati pronti per la storia, i freezer, i musei, tutto ridigerito in un loop perfetto dai nostri armadi verso i nostri armadi…

Con Paolo di Grafica Bambaataa ristampiamo il terzo numero di Trap, fanzine di writing che facevamo tra il 1992 e il 1994. Il numero è stato restaurato su impulso di Vandalo ed esce quasi tutto a colori, con un po’ di flyer di quel periodo e un racconto che permetterà ai veri nerd di seguirsi tutti i vari trip che avevamo nel cervello in quel periodo.

Grazie al prof Antonio Bonatesta di DIRIUM, venerdì siamo al DAMS dell’Università di Bari, insieme a Giuseppe u.net e Vanni, con cui abbiamo fatto e faremo un sacco di cose qui su Pezzate Passate. Preparatevi per una discreta botta di storia dell’hip hop pugliese. Dopo un panel di storici veri, racconteremo un po’ anche noi questioni di archivistica e documentazione: Giuseppe ha scritto molti libri sull’hip hop per Agenzia X e ha un archivio che prima o poi arriverà a una forma stabile che gli renda merito.

La settimana successiva scendono a Bari Francesco e Jennifer, che si laureano alla Scuola di cinema qui a Milano con un documentario sul writing milanese, visto però con gli occhi degli archivisti che collezionano materiale da quell’epoca iniziale. L’idea (da stra nerd) era nata un po’ per mano di Corrado e grazie al suo libro Buio Dentro. Nel loro lavoro ci sono un po’ tutti e non vedo l’ora di avere un link di preview per guardarlo. Al momento è ancora top secret, vi posto qualche frame.

Poi quel weekend, Dafne apre l’evento Sprint qui allo Spazio Maiocchi di Milano: è il loro festival dell’editoria indipendente e del libro d’artista. L’anno scorso ci ero stato e mia figlia mi ha detto: “Ecco padre, grazie, io voglio essere così!”. Quindi bene, avremo nuove zine anche dai miei discendenti entro pochi anni. Dafne presenta tra le altre cose un mega coffee table book sulle fanzine italiane: cataloga 100 titoli, tra i quali avrete l’onore di vedere noi delle fanzine di writing e i due titoli che, negli anni ’80, rappresentavano i media del roots reggae. Erano stampate a Savona e a Bari, poi si erano fuse in una superzine del reggae italiano. La scena ligure era guidata da Gianni Galli, tra l’altro lo sto aiutando a pubblicare un po’ di articoli e tape dal suo mega archivio personale (qui il suo weblog e qui tre tape molto rari di reggae italiano), relativi a un periodo leggermente anteriore a quello dell’intervista a Briggy Bronson. Su questo rimenete sintonizzate perché in materia di reggae abbiamo da dare…

Categorie:Bari, Milano