Craze argentone al Muretto 1988-89

Questo C.R.S. non era la prima pezzata del Craze, forse il secondo.
Argentone, forse uno dei primissimi a Milano, fatto nella rampa del garage sotto al Muretto in Largo Corsia dei Servi.
All’epoca la Milano Napalm Posse, di cui era uno dei fondatori, ancora non esisteva, ma sarebbe nata di li a qualche mese, originando alcune delle hall storiche della west coast milanese (la zona tra Giambellino e Barona) che, stilisticamente, si confrontava con la east coast (Lambrate, Ortica, Città Studi) rappresentata dalle storiche crew più legate allo stile NYC.
Qui ci troviamo al centro di Milano, però. In quel terreno dove la manciata di writers milanesi degli anni 80 muovevano le prime bombole sui muri.
La storia, però ce la facciamo raccontare direttamente dal Craze:
“prima argentata, ma non la prima pezzata. Penso sia del 1988-89. Siamo sotto il muretto, la rampa che scende al garage. C’era questa entrata e poi la rampa di servizio con pezzate degli MCA, Kaos, Graffio, Rendo… mega pop. Avevi questa rampa d’entrata e la rampa di uscita, ed erano collegate da una rampa di servizio dove c’erano le pezzate.
Io ero un transfuga, non ero uno fisso del Muretto.
Per questo CRS mi sono preso un argento della Talken, che mi piacevano, coprivano bene. E un marrone, che non so di che cazzo di marca fosse. E una mini Dupli per fare la tag.
La storia legata alla pezzata la vedi soprattutto intorno, vedi tag di tutti quelli che c’erano, diverse tag di Bazooka, Zippo, Kaos, Graffio, Mec. La K di KayOne coperta da una K di Kaos… penso fosse una mezza sfida!
Fatto sta che scendo a fare questo CRS. All’epoca non mi veniva bene la Z, per cui avevo fatto questa S di CRASE.
Mi piaceva questa cosa degli argenti, l’avevo vista a Brighton e Bournemouth, quando sono andato in inghilterra per studiare, in famiglia… avevo fatto anche un lavoro su commissione lì, un’argentata in una discoteca!.
L’argento aveva questa “valenza urbana” forte. Volevo fare questa prima cosa, con ste frecce improbabili, la C con la cresta da elemtto romano…hahahaha!
Era di pomeriggio, luglio o agosto, forse. Mi ricordo che sono sceso da solo. Ero li solo e non pensavo di vedere nessono.
Improvvisamente scende un topaz (un fattone nello slang milanese dell’epoca) e si va a fare dietro l’angolo. Bellissima compagnia!
Ricordo l’emozione di essere li a dipingere sul muro, di fianco a gente che già sapeva dipingere, anche se “in separata sede”.
Da lì è iniziato l’accanimento per le argentate che ho continuato a portare in giro.
La tag con l’azzurro minidupli (vedi seconda foto nei commenti) l’ho fatta in un secondo momento, mi piace l’effetto “a scomparsa” del tratto sputacchiato delle dupli. Da radicalità al tutto e il contrasto con la pezzata è bello, cambia proprio, diventa tutto STREET LIFE!
Anche se mal tracciata e con bombola che funzionava male, la pezzata passa da essere un “adesivo” un po’ goffo a essere parte “rough and ruffed” del panorama urbano.
Diventa “cattivo” e acquista stile!”
(foto: Craze MNP)

Quincy Jones e il jazz di Hollywood

Ho fatto un mix con la musica di Quincy Jones dei primi anni ’70, qualche album e qualche colonna sonora. Lui è uno dei grandi musicisti afroamericani, ha vinto quasi 30 Grammy e prodotto i tre album più venduti di Michael Jackson. A me interessava riascoltare i suoi album Smackwater Jack, You got it bad girl e I heard that! che avevo tutti all’epoca in vinile. A Natale ne ho ricomperato uno come regalo a mio figlio, quello bellissimo con Hicky Burr. Non ho ancora capito bene come funziona Hear This: il mix lo ascoltate da questo link. Ci ho messo quel suo sound che sta tra jazz, jazz funk, pop, stile e magia.
Mi era un po’ venuto in mente perché ho lì l’album sul tavolo e già che c’ero ho messo anche qualche pezzo di Burt Bacharach, che è mancato settimana scorsa e in un certo senso era affine a Quincy Jones per certe canzoni e atmosfere pop easy cinematiche anni ’60. Poi volevo postare un po’ una spiegazione di questo suo sound specifico, che sta tra le sue colonne sonore anni ’60 e poi le produzioni già più disco, ma come al solito mi son perso via in settemila ricerche assurde.
Per farla breve ci sentite Aretha Franklin e Ray Charles: si andava da Quincy Jones per farsi un sound sofisticato, progressive ma garbato, capace di posizionare l’artista un po’ più in alto rispetto al puro Soul/R&B. Quando eri una superstar e volevi passare al livello ancora superiore, tipo divinità inarrivabile del cinema (sarà vero? Non lo so, io ho questa idea). Aretha ha un pezzo soul più la cover incredibile di Daydreaming, Ray Charles un gospel e un pezzo country (Take Me Home, Country Roads di John Denver, che in Giamaica aveva coverizzato Toots). C’è anche la famosa cover di Summer in the city, successo pop rock dei Loovin’ Spoonful che lui arrangia in maniera stellare per portarsi a casa una hit facile da capire per il grande pubblico medio che andava al cinema. Quindi un jazz cinematico con dentro tutto: soul, pop rock, gospel e radici black magari più di campagna che urban, easy listening bianchissimo da club pettinato, qualcosa di funk.
Alla fin della fiera con le mie tremila ricerchette penso farò ancora 1-2 mix di questa serie. Intanto ho giocato con DeepL per tradurre e con ChatGPT per rimaneggiare e fare la carne trita col testo, per cui vi posto un po’ di background sul jazz nel cinema americano. Ho evitato di inerpicarmi a fare io e mi sono invece limitato a un piccolo esperimento di copia e incolla passando dal nuovo ChatGPT come editor. So che vi piace quando posto le mie ruminazioni da dieci pagine, quindi ecco a voi!
IL JAZZ NELLE COLONNE SONORE DI HOLLYWOOD
Nel mondo del cinema, la musica ha sempre avuto un ruolo fondamentale, ma solo a partire dagli anni ’50 gli studios hanno cominciato a sfruttare l’immensa versatilità dei musicisti jazz per le colonne sonore dei film. Uno dei primi a sperimentare il jazz nel cinema fu Alex North, che nel 1951 compose la colonna sonora di A Streetcar Named Desire, un mix tra musica orchestrale e jazz che segnò una svolta storica nella composizione per colonne sonore, portando il suono hollywoodiano verso nuove sonorità meno legate alla tradizione europea.
In seguito, molti produttori capirono che i musicisti jazz erano molto più economici dei loro colleghi delle orchestre ufficiali degli studios e che un piccolo ensemble jazz poteva fornire lo stesso background musicale di una grande orchestra classica. In breve, le orchestre dei grandi studi hollywoodiani furono destinate a scomparire e la scena musicale si aprì a un numero sempre crescente di musicisti jazz, molti dei quali disoccupati a causa della fine dell’era delle big band di swing. Nel 1954, il sistema degli studios cominciò a dissolversi e i compositori passarono dall’essere impiegati dagli studios a creativi freelance.
Dopo il successo della canzone “Oh My Darling” in High Noon (1952), gli studios cominciarono a chiedere ai compositori di scrivere brani originali per i film, sia per scopi promozionali tramite la trasmissione radiofonica che, successivamente, per ricavare ulteriori guadagni dalla vendita degli album delle colonne sonore. Nelle classifiche di vendita, le colonne sonore era spesso la maggior parte della top10 degli album più venduti.
Leith Stevens fu uno dei primi compositori a utilizzare il jazz come genere, nel film The Wild One del 1953, con Shorty Rogers e i suoi Giants. Elmer Bernstein cambiò il modo di comporre per i film di Hollywood con la colonna sonora di The Man with the Golden Arm (1955), in cui Frank Sinatra interpreta un batterista tossicomane, unendo il suono potente della big band a texture di archi classici. Bernstein chiamò poi il quintetto di Chico Hamilton per creare un’altra colonna sonora importante, per Sweet Smell of Success (1957).
Tendenzialmente ricordo un doppio CD Crime Jazz che aveva tutto questo tipo di materiale.
Miles Davis, nel 1958, contribuì al film noir francese Elevator to the Gallows, diventando uno dei primi compositori afroamericani per il cinema e aprendo la strada a futuri artisti come Quincy Jones, Herbie Hancock e Terence Blanchard. Johnny Mandel, invece, utilizzò i talenti dei migliori musicisti della West Coast per I Want To Live, sempre del 1958. Miles Davis è interessante perché la scena della nouvelle vague francese adotta un jazz diverso: in particolare il cool e tanti artisti bop o hard bop più intellettuali, di avanguardia, meno legati al sofisticato mondo americano di Hollywood dove un nero era inquadrato più strettamente negli schemi della rappresentazione mediatica e professionale della persona afroamericana.
Anche il produttore Blake Edwards capì l’importanza della nuova tendenza, assumendo Henry Mancini per la colonna sonora della serie televisiva Peter Gunn (1958-61). Poi, si formò nel tempo una grande scuola di compositori jazz per colonne sonore di serie TV come Mike Hammer (1957-59), Richard Diamond (1957-60), M Squad (1957-60), MR Lucky (1959). Il lavoro di questi musicisti veniva raramente accreditato nei titoli di coda dei film, ma Quincy Jones fece un passo avanti importante elencando i suoi musicisti della colonna sonora alla fine del film The Hot rock (1972).
QUINCY JONES
Le profondità oscure della società americana emergono attraverso il cinema di coscienza sociale degli anni ’50 e ’60, e la colonna sonora di Quincy Jones per il film The Pawnbroker del regista Sydney Lumet del 1965 è una delle prime espressioni di questa tendenza. La sua musica riflette una consapevolezza in via di sviluppo che coinvolgeva sia l’America bianca che nera, e rappresenta una miscela originale di sensibilità nera urbana e tecniche di orchestrazione europee.
La musica di Jones per The Pawnbroker si muove abilmente tra questi due mondi, con sfumature che ricordano la colonna sonora di Duke Ellington per Anatomia di un omicidio di Otto Preminger. Tuttavia, Jones compone e dirige la sua partitura in modo distintivo, come un “alieno” sgradito, con un linguaggio musicale inadatto che dichiara la sua posizione di “outsider” nel contesto della cultura afroamericana.
La sua partitura è una mescolanza di contrasti estremi e tessiture poliglotte, che celebra l’alterità e il melting pot culturale americano. I suoni latini, il sax alto in stile fusion, il contrabbasso be-bop, la batteria freestyle e l’organo atonale sono solo alcuni degli strumenti che Jones utilizza per catturare la vita vibrante della strada di New York.
Le partiture di Jones per Mirage (1965), The Slender Thread (1966), In Cold Blood e In the Heat of the Night (entrambi del 1967) formano un gruppo che caratterizza l’emergente “suono della città”, un ambiente urbano duro e violento in cui le tensioni razziali e criminali sono palpabili.
Quincy Jones è una figura chiave ma spesso ignorata nel panorama della colonna sonora cinematografica, che ha portato la musica fuori dalla sua caverna wagneriana e l’ha inserita nel contesto del traffico cittadino. Il suo inimitabile tema per la serie televisiva Ironside del 1967, con sintetizzatori e trombe stridenti, ha ispirato molti altri show televisivi e film degli anni ’70.
Poi finiscono gli anni ’60 e nel jazz delle colonne sonore cambiano i sound: questo è il momento che ho voluto rappresentare qui nel primo mix. Poi per 4-5 anni la moda diventano i film con la delinquenza di strada del ghetto, tipo Superfly e Shaft: la cultura afroamericana continua ad essere rappresentata in situazioni hard boiled ma in maniera molto glamorizzata e funky. Ecco la Blaxploitation.
LA BLAXPLOITATION
Il termine “Blaxploitation” è stato coniato nel 1972 dal presidente della NAACP di Hollywood, Junius Griffin, in un articolo del New York Times, in cui utilizzò il termine per criticare ciò che vedeva come “modelli di degrado, distruzione e droga”. Questo termine generico indicava i film dei primi anni Settanta realizzati da registi neri e destinati al pubblico nero. I film erano generalmente indipendenti, a basso budget e trattavano spesso di argomenti come il crimine, la droga, il sesso e le tensioni razziali. Tuttavia, questo genere comprendeva un’ampia gamma di film, per cui può essere problematico generalizzare. I film blaxploitation sono stati spesso accusati di glorificare la violenza e di perpetuare stereotipi sulle comunità nere.
Nonostante le critiche, molti dei film blaxploitation erano esplicitamente collegati al movimento rivoluzionario del Black Power dell’epoca e anche la musica spesso giocava con questa idea. In un’intervista del 1971 alla rivista The Crisis, il regista di Shaft, Gordon Parks, spiegò: “Penso che [Shaft] possa emergere come un eroe nero per i ragazzi neri”. La gente rifiutava l’immagine che attori come Sidney Poitier, che per coincidenza recitavano in film sonorizzati da Quincy Jones, avevano dato agli spettatori. “Sidney Poitier era un grande attore”, ha dichiarato l’attore Fred Williamson (Black Caesar, Hell up in Harlem e Bucktown, per citarne alcuni) al Los Angeles Times nel 2009, “ma non ha colmato il vuoto di come alcuni neri interpretavano il loro impatto sulla società”.
I primi anni Settanta furono un periodo incredibilmente fertile per la musica soul e funk. La tecnologia degli studi di registrazione era progredita e consentiva registrazioni multitraccia di alta qualità, mentre nuovi strumenti come i sintetizzatori e le unità di effetti come phaser, chorus, envelope-followers e pedali wah wah ampliavano la portata di ciò che era musicalmente possibile. Molti artisti di colore si allargarono e inserirono nella loro musica nuove influenze provenienti dalla psichedelia, dal jazz e dal latino, ampliando il linguaggio sonoro dell’R’n’B.
Secondo l’autore Nelson George nel suo libro The Death of R’n’B, una nuova sensibilità musicale sofisticata emersa nei primi anni Settanta, in cui la musica nera divenne “più lunga, più orchestrata, più introspettiva – alcuni album neri avevano la continuità e la coesione di colonne sonore anche quando non lo erano”.
Rickey Vincent nel suo libro Funk: The Music, The People and the Rhythm of the One osserva che “La formula del film Blaxploitation era un invito a nozze per il musicista nero per esplorare la gamma dell’esperienza afroamericana ed esprimerla in maniera nuova. Ogni colonna sonora presentava un tema introduttivo scattante e radiofonico, musica per le scene di inseguimento, suoni romantici o sexy per le scene d’amore, e musica per funerali, matrimoni, atmosfere di suspense furtiva e azione sanguinosa. Gli album producevano un livello di varietà e coerenza che rivaleggiava con le grandi band funk dell’epoca”.
Queste colonne sonore erano rock, jazz e soul. Comprendevano l’intera gamma di generi della musica nera. E sono durate nel tempo, attraverso gli anni e il cambiamento dei gusti, e persino scollegate dai film per i quali erano state create. Sono i suoni di un tempo, di un luogo e di un movimento preciso della storia americana. Secondo un articolo di Ebony del 1977, nel 1973 c’erano “101 produzioni cinematografiche con protagonisti o temi neri”, ma nel 1977 il numero si era notevolmente ridotto e “non aveva superato i dieci” quell’anno.
Di questo sound anni ’70 blaxploitation ho fatto un mix soul, senza usare l’immaginario poliziottesco con gli inseguimenti funky, i gangster, i tossicomani e tutte quelle cose lì. Ci ho messo invece tutta la parte positiva con i grandi artisti soul e le canzoni d’amore. Ascoltate il mix da questo link, è molto molto bellino!
Fabrizio mi dice che Netflix questo inverno ha pubblicato un documentario sulla Blaxploitation: Is That Black Enough For You?!? Ci sono tante recensioni in giro. La cosa divertente è che ci vedete Harry Belafonte, giamaicano che negli anni ’50 aveva cavalcato l’onda commerciale del Calypso, portato Miriam Makeba a New York per poi diventare un attivista dei diritti civili e uno dei producer della prima onda Blaxploitation. Ah ah come è piccolo il mondo… i miei mix di Calypso be bop stavano qui con la storia di quel periodo a NY.
FONTI
Zedo; Dagli esercizi alla deviazione

Tommaso Tozzi (pioniere del writing italiano, artista, docente e storico nonché abile autista di fughe eclatanti dalla Polfer fiorentina) ci manda un suo poster del maggio 1982, che rappresenta al momento uno dei primi segnali di writing documentato in Italia). Segue parte del suo racconto, che si lega all’articolo del 1983 di Domus in occasione della visita di Rammelzee a Milano, quando ormai la scena italiana (o perlomeno milanese) stava iniziando ad esistere con una fisionomia definita. Un grazie a Tommaso per il contributo, ora però dovremo trovare Giovanna e farci raccontare tutto…
L’esposizione era organizzata insieme a Stefano Bettini (il cantante degli I Refuse It e autore della citata “Nuove dal Fronte”). Stefano proiettò dei suoi film sperimentali in super 8, io esposi diverse mie opere, tra cui anche qualcosa fatto con gli spray (la quasi totalità di quei lavori che esposi li hanno ora i miei amici a cui li ho regalati quando feci un trasloco nel 1986). Si fece quella cosa lì perché non era una galleria d’arte. Serviva solo a far circolare e conoscere i nostri lavori alle persone che frequentavano quel locale.
Nel Caffè Voltaire, colei che ci lavorava e che ci organizzò l’evento era una ragazza giovane (mi sembra si chiamasse Barbara, ma dovrei sentire Stefano per conferma) che era amica della compagna (ora moglie) di Stefano, Giovanna. Giovanna le aveva raccontato che io facevo graffiti per le strade e per questo lei era molto interessata. Le raccontai del graffitismo e di ciò che succedeva a New York. Fu così entusiasta che quando andai ad aprile 1984 a New York la ritrovai che era li ed era diventata una sorta di “assistente” di Rammelzee. Fu lei a farmi avere la possibilità di ricevere in quell’occasione da Rammellzee stesso una copia del suo trattato sul panzerismo iconoclasta che in seguito pubblicai nella mia tesi di laurea.
Indice cronologico di alcune storie hip hop milanesi
Pezzate è un’opera in divenire e a volte anche un po’ collettiva e caotica. Qui c’è una piccola sintesi con alcuni frammenti di racconto montati in una sequenza temporale, per chi vuol avere un colpo d’occhio su questi 10 e passa anni di blogging dedicato all’hip hop milanese (spesso solo writing e in particolare di una piccola parte della scena). Dato che qui su Pezzate Passate c’è qualcosa ma poco, Se volete vedere molte foto vecchie e i nomi dei primi breaker di Milano con qualche storia, fate riferimento per esempio al libro di Kay One Mantovani, che può piacere di più o di meno ma diverse cose comunque le ha. Ad esempio la locandina di una mostra del 1980 di Lee e Fab 5 Freddy, che è sicuramente una delle prime cose documentate a Milano.
Ricostruire le origini del writing italiano non è facilissimo, poi le ricerche sono un po’ estemporanee e hobbistiche più che da vero storico. A volte i primi segnali sono contemporanei, a volte sfumati nei ricordi, spesso inarrivabili per vari motivi. Ad esempio Giacomo Spazio faceva delle cose in giro con le bombolette a Quarto Oggiaro nella seconda parte degli anni ’70, ma non esistono foto. Circa nello stesso periodo, un altro degli antesignani era Tommaso Tozzi a Firenze: in questa pagina ci sono le sue prime cose del 1981. Tommaso ci scrive per correggere la data del suo articolo per la fanzine Nuove dal Fronte del 1983 e aggiunge un documento del 1982 che vedete qui: al momento rappresenta il più antico segnale di writing italiano apparso qui su Pezzate Passate.
Dopo queste due primissime avvisaglie, la cosa più vecchia uscita su Pezzate è l’intervista di Rammelzee del 1983, grazie a Vandalo. Rammelzee e gli altri writer americani famosi giravano con il carrozzone delle gallerie d’arte, ne riparleremo (spero). Al Muretto gli americani avevano incontrato i primi b-boy milanesi: restando spesso per mesi in città, avevano anche dipinto, ad esempio nel cantiere dell’Isola che all’epoca era leggendario per chi come me era venuto dopo (le foto sono qui e qui e qui e qui). Michele d’Anca, uno dei primi breaker milanesi, aveva scritto un ricordo ambientato nel 1985: In cerca di giocattoli con Phase2. Altri ricordi potrebbero arrivare da Sara, personaggio chiave ma non molto noto di questa fase della storia. Sempre del 1983 c’è anche questo pezzo di Tritalo, Gratosoglio: lui era un po’ un lupo solitario come tanti in quel periodo che si attivavano in maniera autonoma. Nel 1987 aveva fatto uno dei primissimi treni della metro e qualche anno dopo era stato nei Krama Posse, area rap militante ma molto sui generis, e poi lo avevamo rintracciato e ne erano nate un po’ di pezzate varie insieme nel 1992.
In quel momento, diciamo 1983, l’hip hop era arrivato anche in Europa e in Italia, spesso in contemporanea in ambienti diversi e impermeabili come gli squat e il Muretto di Largo Corsia dei Servi. A volte, lo racconta per esempio Ghittoni nel libro Milano Off, gli ambienti invece si mescolavano: è il caso di locali come il Punto Rosso e il Plastic, dove alla fine andavano tutti. Anche a NYC la Downtown scene era composta da mondi diversi ed esisteva una fascinazione per cui rap e rock si scambiavano input (qui una serie di 10 mixtape che tracciano quell’idea, sempre intorno al 1983). Vedi per esempio la fanzine punk di Tommaso Tozzi del 1983 a Firenze: Nuove dal Fronte, sempre recuperata da Vandalo. Vedi i primi pezzi di Atomo e Swarz, area centri sociali milanesi: la fabbrica Richard Ginori per esempio. O la storia di Cerebro Fritto, meno punk e più new wave o post punk.
Al Muretto si era formata una scuola stabile che cresceva più nell’ortodossia delle quattro discipline (che poi però si sono rivelate un po’ costruite a tavolino per i film di Hollywood, infatti ai writer di NYC negli anni ’70 in genere non fregava una stramazza del rap vedi questa serie di mixtape con la storia nel dettaglio). Sean, anche lui un nome storico di quel periodo, ci ha scritto un ricordo del primo Zulu party di Milano e di un bombing loro del 1984, ma anche loro erano attivi già da prima (man mano vedremo se dovesse fortunatamente uscire qualche racconto o documentino). Il writing iniziava a spuntare in maniera autonoma nei vari licei milanesi, grazie al fatto che bastava vedere uno dei film o apparizioni in tv per iniziare: il fenomeno piaceva molto ai media e appariva spesso in tv. Ad esempio Graffio aveva dipinto al Boccioni nel 1985 e poi qualche anno dopo era importante l’ITSOS di via Pace (qui un pezzo del 1987), specialmente per i writer dell’ambiente squatter. Chi girava allora ricorda la casa di via Vigevano come un simbolo di quel momento, o perlomeno per me è così. Anche la discoteca Odissea 2001 era stata un luogo importante della Milano alternativa, che poi aveva avuto diverse pezzate che per me avevano segnato due epoche (la prima si era chiusa con questo muro e questo muro mentre la seconda era già in mano agli americani che stavano a Parigi). In questo periodo anche il reggae ha un suo centro stabile a Milano grazie al Flash It di Vito (la sua storia sta qui).
Verso il 1985 o massimo l’anno dopo, mi sembra si fosse chiusa questa prima fase in cui l’hip hop era la novità: piaceva ai media e arrivava al pubblico da cinema, radio, tv e un po’ di discoteche almeno a Milano. Nelle gallerie d’arte giravano gli artisti famosi di NYC e la cultura si era in qualche modo trasmessa e consolidata.
Siamo arrivati verso il 1986: al Muretto c’era stata una fase un po’ scarica ma in tutta Milano (e Italia) stava iniziando una nuova generazione. Nel 1987 i vecchi erano andati o stavano andando: Yassassin era uno dei nomi che non avevo fatto a tempo a conoscere, Kaos invece era sempre lì e ogni tanto mi regalava gli outline, che ho repertato poi qui su Pezzate. Ecco: questo outline era tipico di quel periodo del 1989 quando gli MCA erano i più forti a Milano. In quel momento era ripartito tutto con una nuova era, cementata dalla prima convention di writing italiano a Rimini. I PWD iniziavano a trovarsi in Piazza Loreto e aprire la stagione più importante del bombing milanese (qui una foto d’epoca, qui una metro di Flu, qui la storia del COIN). Fly aveva rilanciato la Hall of Fame di via Bazzini: Bang, Ask1, forse Drop e io facevamo i primi pezzi qui, il Casoretto e Lambrate erano il nostro centro. Poi era stata l’Ortica. Le storie relative ai bombing in metro sono raccolte nel libro Buio Dentro di Corrado, in caso comperatevelo così fate il pieno di polvere, tunnel e fugoni al cardiopalma.
Anche il rap era cambiato dopo il 1986 e fino al 1989. Molti scoprivano l’hip hop partendo dallo skating. Avevamo fatto tre mixtape con tre lunghi racconti qui e qui e qui: sono tre storie a cavallo tra skate, punk e rap. La purezza culturale e stilistica era meno forte ma la passione era sempre alta. Le cose stavano cambiando. Nell’ambiente delle case occupate e centri sociali stavano germinando le esperienze che avrebbero poi portato alle Posse Italiane: tra i tanti avevamo pubblicato il muro fondamentale di S. Eustorgio, grazie ai BMXXX. Lì in qualche modo era partita, almeno per me, il mondo dei sound system dove avevamo messo un pezzo anche noi con i Bass fe Mass.
Questa è stata un po’ una seconda fase d’oro, direi 1988-1990 circa: era la fine della Milano da Bere dei Socialisti (PSI) che bene o male, forse per tener buona la popolazione o per una deriva verso la società dello spettacolo, spendevano per manifestazioni pubbliche e per le arti visive. C’erano stati eventi rilevanti, ad esempio Il Gioco delle Arti alla Triennale. I Mondiali ’90 con la mega distribuzione di bombolette by Atomo, che per tutti erano stati un paio di anni di writing gratis (grazie). Era più facile fare lavori pagati proprio grazie ai precedenti anni in cui si era seminato. In questo periodo i quotidiani, perlomeno alcuni giornalisti in alcuni giornali, facevano un sacco di articoli sul writing. Giravano le foto di Monaco, Parigi e Amsterdam.
Poi dopo si parla della storia moderna ed è più facile ricostruirla. Erano nati i TKA e i CKC (nel 1991) con la leggendaria stanzetta del Leoncavallo, si facevano tante convention in tutta Italia. Ad esempio nel 1993 c’era stata Follonica (qui la murata): gli ADM erano nati come supergruppo dei bomber italiani e noi milanesi + trevigiani avevamo scoperto il Salento (qui il ricordo di Solow). L’anno dopo c’era stata Indelebile 1994 a Rimini e ormai la scena era matura: c’erano gli ospiti stranieri che dipingevano le metro a Roma e tutti si conoscevano. Di quella jam è spuntata una foto di gruppo con noi giovanissimi e sballatissimi. Ampollino Rap 1994 era stato un’altro festival leggendario. Le cose iniziano a muoversi molto più velocemente. Diciamo che verso il 1992 c’erano ormai crew di writer in tutta Milano e la prima fase del bombing hardcore in metro si era chiusa. Tra il 1992 e 1994 avevo fatto la fanzine Trap: ne giravano tante e questa era la nostra, tutta ispirata al black power afroamericano – si può scaricare grazie alle scan fatte da Vandalo. Circa nel 1993 arrivano le Sparvar a Milano, grazie a Rusty (io le vendevo in cantina) e il livello tecnico sale molto. Gli stili si rinnovano grazie all’arrivo del libro Paris Tonkar, che era stata una nuova epoca.
Per oggi ho compilato questa parte, ma negli archivi ci sono tante altre storie. Scrivetemi se avete commenti o vi fa piacere sistemare qualcosa. Non ho pretese di completismo o storiche in genere: avevo voglia di iniziare un indice cronologico relativo a questo sito ed eccoci qui. Poi man mano magari si amplierà. Grazie in ogni caso a tutti i guest e chi ha collaborato, ma sopratutto vorrei ricordare i tantissimi nomi che non sono stati rappresentati perché le storie si sono perse: Pezzate è solo una raccolta aperta di campionature e carotaggi, fatti dal mio punto di vista specifico e peculiare.
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