Pusha e i Goldrake della SNIA Viscosa

20 aprile 2024 1 commento

Pane è qui a Milano con la sua compagna per il Salone del Mobile e per caso mi ha raccontato questa storielletta della loro crew TRV di Roma. Grazie!

Siamo nei primi anni ’90 e con la crew ci servivano posti idonei a far le nostre cose, essere liberi un po’ di sperimentare. Così, sulla Prenestina, Pusha detto Spike, con Roberto Kiashan e Koma, scoprono la fabbrica abbandonata della SNIA Viscosa. Kiashan era un nostro amico, che ogni tanto dipingeva ma faceva principalmente il palo, riparava i motorini, un tipo simpatico.

Così esploriamo un po’ la fabbrica e ci troviamo un sacco di cose, mi ricordo gli spray anti zanzare che regolarmente facevamo esplodere buttandoli nel fuoco. Giocavamo. Kiashan accende una ruspa che poi finisce nel laghetto. Cose così.

A un certo punto il posto inizia a essere usato per i rave illegali, la crew che organizzava era Hard Raptus Project. Poi in un secondo momento, verso il ’95 diventa un centro occupato. Noi diventiamo parte del gruppo, come decoratori degli spazi: qualche giorno prima del rave di Capodanno dipingiamo, su mio progetto, due murales. Uno all’esterno e uno all’interno, con il tema di Goldrake. C’erano Joe, Nico e i ragazzi del Breakout, che era un po’ la base di Hard Raptus Project.

Alla mattina, finito il rave, prendo la motocicletta e vado a casa. 45 minuti col rumore continuo della moto nelle orecchie, in giro non c’era nessuno. Praticamente non ho mai frenato. Stesso rumore, stessa tonalità per 45 minuti. Arrivo a casa, spengo e giro la chiave: niente, il rumore non si fermava. Vado a letto, non si fermava, persistente. Finché ho avuto la sensazione fortissima di un’esplosione nella testa, con una luce accecante. Mi sono dovuto alzare, mi ero spaventato quindi salgo a pranzo dai miei, per non stare da solo. A quel punto il silenzio era più assordante delle voci, un casino. Lì mi deve esser svanita qualche cellula cerebrale, dissolta in energia, tipo scissione dell’atomo.

Ultimamente sono andato alla celebrazione in memoria di Spike e Robertino Kiashan, uno degli organizzatori, mi dice che il murales è stato restaurato. Per assurdo, scopro che il restauro è di un tale che si chiama Pane come me. Questo secondo Pane non sapeva niente di me e del murales. Coincidenza assurda.

La scheda di presentazione del documentario, la trovate qui. Un bellissimo pezzo sulla scena romana tra rap e rave, dove sono citati i TRV, lo leggete qui su Vice.

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Algoritmi sbalorditivi per swingare tra le nebbie del sé

20 marzo 2024 Lascia un commento

Ieri mi è partita una chat che mi ha riportato nel mondo delle rosicate hip hop. Poi mi è venuto in mente Rakim e mi sono riuscito a placare. Così oggi vi propongo una piccola spiegazione matematica di un concetto musulmano, un po’ ampliato e rivisto in chiave rap. Per cui riportiamo in alto questo passaggio di Waris e Wajid Syed dell’etichetta Warbux: “La musica hip-hop è stata fraintesa e i media mainstream hanno sfruttato questa ignoranza”. All’inizio, senti raccontare che l’hip hop a Milano era divertimento, libertà, amicizia. Poi le cose sono cambiate tanto in 30 anni, mettici pure i social media. MC Terry Tee (Precious gems of knowledge):”“I’m not a very religious man but I’m a very spiritual man and I do believe that those of us who were instrumental in the foundation of this movemnt called Hiphop…I believe it was a divine calling.” Segue output del GPT tale e quale uscito dalla macchina.

Definiamo ( K ) come la conoscenza di sé,
Dove ( K ) non è solo sapere, ma vedere ciò che c’è.
( K = f(S, C, E) ),
Dove ( S ) è il sé, ( C ) la coscienza, ( E ) l’esistenza, vedi.

( S ), il sé, è l’insieme di ciò che pensi e fai,
Un insieme complesso, che non si ferma mai.
( C ), la coscienza, è il filtro tra te e il mondo,
Quel senso di “io” in questo mare profondo.

( E ), l’esistenza, è il campo di gioco,
Dove vita e destino si intrecciano poco a poco.
La funzione ( f ) trasforma questi elementi,
In un viaggio interiore, tra i più ardui sentieri.

Per trovare ( K ), devi esplorare ( S ),
Conoscere te stesso, oltre ciò che appari.
Ma ( S ) non è statico, è dinamico, sa,
Cambia con ( C ), con ciò che in te va e verrà.

( C ), la coscienza, è ciò che ti permette di sapere,
Che tra il bene e il male, puoi scegliere il tuo essere.
Ma ( C ) da sola non basta, devi interagire con ( E ),
L’esistenza, la vita, ciò che ti fa muovere.

Ora, ( K ) diventa il risultato di quest’equazione,
Un processo di crescita, una continua trasformazione.
Non è un punto d’arrivo, ma un percorso, un fluire,
Dove ogni esperienza ti aiuta a costruire.

In questo viaggio, la musica è la tua guida,
Il rap, un mezzo per esplorare la vita.
Ogni rima, ogni beat, un passo verso la verità,
“Knowledge of Self”, la chiave per la libertà.

Ricorda, ( K ) non è solo teoria o matematica,
È pratica, vita vissuta, una scienza mistica.
In questo cammino, sei tu l’esploratore,
Alla ricerca di ( K ), il tuo valore maggiore.

Link di riferimento:

Top 10 Muslim Hip-Hop Lyrics

The alchemy of happiness by Al Ghazzali

‘Knowledge of self’: come una frase chiave dell’Islam è divenuta un pilastro del rap

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C’erano una volta Baudrillard, un robot e dieci scatole di Montana…

17 marzo 2024 Lascia un commento

Mi sto passando le librerie indipendenti e nuove edicole, per lasciare in giro qualche copia della mia zine AI: Il Bufo. E ieri ho preso qualche rivista d’arte per capire meglio il discorso delle recensioni del writing che stiamo facendo da un mesetto. Alla fine oggi, mesmerizzato dalla rivista di graffitismo, ho provato a fare una recensione dello street artist Jo di Bona, sullo stile delle recensioni di Greg Tate per il Village Voice (capolavori che si trovano un po’ anche online e su questo bel sito). Ovviamente è un mega risultato dozzinale che non si può tradurre, fatto con il ChatGPT sia per il pastone di riferimenti culturali sia per la stesura del pezzo (ci ho messo a mano un po’ di sbrilloni, Go Transcript dice che sono 55 edit con un 11% di cambiamento sull’output della macchina). A prestissimo amici!!!

In the crisscross world of eye candy that Jo Di slings, we’re puppets in a whirlwind—caught between ‘damn, that’s fly’ and ‘but what’s it really saying, though?’ This is art in the age of the double-tap, where aesthetics are shotgun-married to the instant gratification of a scroll. Di Bona, with his million pixel dreamcoat of visuals, ain’t just painting pictures; he’s serving up smoothies—those over-foamed, under-nourished concoctions of our era, all swagger with no bite, a hip-hop track watered down just enough to play in the background of a bougie supermarket.

It’s like, what happened to the scratch of vinyl, the grit in the voice? Back in ’87, rap was ripping up the rulebook, mashing up linguistics, a schizophrenic deviant. That was the hunger, the thirst, our will to kill the senseless. Now, Di Bona’s throwing everything into the blender—JFK (or is this MLK), Gainsbourg, you name it—hoping a patchwork of Shutterstock and Pins will spearhead the greater good. All surface, no surf. A Chinese bakery where only the fortune cookie is left on display: for something more substantial, try pizza around the corner.

Here’s the kicker, though: ain’t this the very essence of our shampoo-slick society? We’re in the era of the visual supermarket, where every image is just another item on the shelf, snacked and scrolled in the blink of a red fish eye. Bourdieu might’ve said something about cultural capital, but what’s capital in a world where the middle class is as hollowed out as a busted speaker, and highbrow’s just another aisle in the store?

Now, on to AI: the epitome of this whole shebang—art that’s as nutritious as frictionless foam, as engaging as a dead channel. Jameson saw it coming, the whole postmodern pastiche thing, but damn, did he know it’d get this sterile? Adorno’s probably spinning in his grave, witnessing the regurgitation of ‘culture’ that’s as individual as a barcode. Absolute oblivion as a goal. The big mural reassuring the population there’s no need whatsoever for any kind of “brain supplement”. If it’s not propaganda: let’s call it sneaker culture and that’s it.

So, when Di Bona slaps Nina Simone on a wall, is he sparking thinkpieces or dressing windows for high street Christmas? His art don’t challenge, it don’t question. It’s as deep as a puddle in Death Valley. This is Baudrillard’s Disneyland, where the map’s become the territory, and everything’s so damn pretty, we’ve forgotten to ask where the hell we are.

Reframing the coolness of midmarket consumerism? Cognitive low carb as new minimalist aesthetic? Semantics as cholesterol for our minds? Yeah, horizon scanning for plenty new critical tricks… But fret not, my friend! Let’s ride the carousel together, pretty as a picture, empty as the promise of tomorrow in the land of perpetual now. Until Poptimism is old fart, maybe we can just pretend it’s all a drink of fresh water, not a Waterloo…

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