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Un racconto di Neda – Carri e zarri

13 ottobre 2018 Lascia un commento

Il carnevale a Milano si festeggiava in tanti modi.

i carri che sfilano, unica pennellata nel grigio della città, i bambini mascherati, coriandoli sul marmo della galleria e feste in maschera nei locali, piene di coca buona al 70%. e di buona società.

Ma in san babila era tutta un altra cosa,

san babila è sempre stata tutta un altra cosa.

Qui quella festa con il sangue nel nome era solo una scusa per chiudere vecchie guerre tra bande, o iniziarne di nuove.

Bande di albanesi scese dalle montagne arrivate con il primo grande esodo dei novanta, bande di quartieri lontani che la città aveva vomitato in centro e poi noi.

Il muretto. 

A carnevale corso vittorio emanuele si trasformava in un mosaico bizantino di risse, focolai in un prato di erba secca.

quel pomeriggio sotto il mcdonald dove ora tutto è stato cancellato dal tappeto dello shopping a basso prezzo, eravamo pochi, troppo pochi quel giorno per un giorno così pieno di sangue, di maschere, di schiuma da barba e di tirapugni nelle airmax.

Eravamo in 4 seduti sul muretto senza sapere di essere a pochi secondi da  fort apache, da lontano 5 zarri prendono a bastonate uno dei nostri, basta.

il cervello chiude a chiave le porte per non far passare piu l’ossigeno e la paura.

Ci fiondiamo come vespe verso quel problema come un tuffo nel mare di notte di ubriaco.

Appena arrivati, i 5 sono gia 10 poi 20.

Si erano uniti come in un orgia, albanesi del duomo, zarri italiani e albanesi dell “astragame”, una sala giochi del centro enorme, sotterranea, di forma circolare come un tempio pagano diventata dopo gli anni 80 “albania” impossibile entrarci.

Teo parte contro due, ma ne arrivano 5 su di me e memè, teo mi urla “hanno i coltelli neda”, davanti a noi un muro di lupi e tigri con la bava negli occhi, le urla sgrammaticate di chi non ha mai letto un libro e tanti i calci usati come lance di un quadro di …

Erano cosi furiosi che si picchiavano anche  fra di loro la giungla quel giorno aveva deciso che noi eravamo cibo.

GLI SBIRRI, GLI SBIRRI, le urla dal fondo fanno evaporare quella tempesta, via di corsa dopo aver preso pure due manganellate sul braccio ma mai cosi felici di aver visto dei poliziotti.

Le cazzate tra noi non servivano non eravamo politici ne comunisti ne avvocati, quello era stato un giorno sbagliato e avevamo perso.

“La roba” successa arrivó come il vento nelle orecchie di tutte le altre piazze e chiaramente pure del fratello di memè, enzo, detto enzone. grande, grosso con il pizzetto e amante di tutto cio che è guerra, compresi i soldatini e i pantaloni mimetici che usava pure a letto dopo essere stato con la folgore nella guerra in somalia.

In un incontro il giorno dopo, enzo parlava di sangue e di guerra, non si perdonava di non esserci stato, ma essendo molto piu grande di noi, aveva una passione per noi senza peli pubici ancora misteriosa, SCOPARE.  

Voleva vendetta tutti noi provavamo a spiegargli che le cose erano cambiate, che gli albanesi erano troppi, troppo grandi e troppo affamati dopo aver vissuto tutti quegli anni sotto un regime che li ha tenuti lontano dal futuro dal tempo e dalla felicità venduta dagli spot pubblicitari.

Eravamo un esercito ma di bambini, eppure enzo era un castello senza orecchie continuava a ripetere che avrebbe portato i suoi, i suoi. “quattro” amici di uno strano gruppo di giocatori fanatici come lui di soldatini dipinti a mano.

lo guardavamo come un bambino che vuole andare in guerra armato solo della nuova ps4. si doveva fare urlava, e si doveva fare subito, “il sabato successivo, prima che il taglio venga cucito con dei punti”… il ciccione amava usare frasi bibliche e prese dalle guerre degli antichi romani, cazzo.

e venne il sabato.

Si era cosi sparsa la voce di quella battaglia che al muretto c’erano due falconi dei carabinieri.

Mai successo.

spesso ci si dimenticava di essere nel centro di milano e non in west side story.

Come predetto quel pomeriggio eravamo in 5, compreso enzo.

Fottuti.

enzo insisteva nel voler andare giu nell inferno dell astragame, era pazzo ne eravamo convinti.

La guerra in somalia e le troppe risse negli anni 80 al “time” storico locale di after, mazzate e pessima musica, gli avevano trasformato la materia celebrale in budino al cream caramel della dico.

Squilla un cellulare, enzo ascolta la voce poi tronca subito la chiamata dicendo la frase ormai passata alla storia “sono arrivati”.

voltiamo l’angolo con enzo in testa, i nostri occhi restano paralizzati sconvolti e stupiti come vincent vega quando apre la valigetta in pulp fiction.

Davanti a noi vediamo enzo diventato un nano davanti alle montagne dei suoi 4 amici.

Erano un incrocio arabo italiano demoniaco, capelli unti ricci, occhi azzurri come lapislazzoli incastonati in facce scure con la pelle tagliata come cortecce di alberi, mani grosse di pietra pelose e gonfie per le troppe ossa spezzate dai loro pugni.

Ci facevano paura ma ci sentivamo come se avessimo all improvviso un ak 47 in mano.

Continuavamo a chiedere scusa a enzo mentre correvamo verso l’astra game e verso la gloria dei poveri. quei 4 demoni, i nostri 4 demoni che potevamo scagliare contro i nostri nemici come in un video game

Finalmente

Appena scesi all astragame enzo incomincia a fermare “albanesi a caso” chiedendo “sei tu il capo”, “sei tu pezzo di merda che hai fatto casino sabato scorso a casa mia”,  all’improvviso, gli sguardi di quelle facce bielorusse non sembravano piu cosi cattive, e il loro istinto di sopravvivenza li guidava fuori dall’enorme sala giochi correndo, facendo finta di non vedere le 4 bestie dietro di noi, pronte a mangiare le ossa di chiunque enzo gli avesse indicato.

noi non smettevamo di ridere nervosamente

una vittoria inaspettata è piu bella.

Svuotata la sala giochi enzo volle andare in duomo noi eravamo con lui attaccati alla coda del diavolo che ci sbatteva come fazzoletti nel vento, ma anche in duomo tutti fuggiti.

La giornata fu chiusa con una vittoria inaspettata senza sangue, ma enzo era furioso, aveva promesso ai suoi 4 demoni della carne umana da mangiare e ora doveva offrire loro da bere per farsi perdonare, noi eravamo felici, ubriachi e pazzi.

Sapendo che da quel giorno nessuno si sarebbe piu permesso di attaccarci

Almeno fino al prossimo carnevale.

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Tawa 16K su Porta Ticinese 1998

16 gennaio 2017 Lascia un commento

 

tawa16k-fine90-porta-ticinese

La fine degli anni novanta vedeva un esplosione di bombing di discrete dimensioni, e in aree MOLTO visibili.
Insomma, quello che dovrebbe essere un bombing vero: grosso e visibile a tutti. Che non puoi non vederlo.
Tra i più impegnato in questo a fine 90’s, dopo le bombe dei primi 90’s sganciate dalle prime crews milanesi storiche, c’erano in diversi: i VDS per esempio, gli MDS sull’Arco della Pace in Piazza Sempione. Poi MAD, BN. Poi diversi altri più avanti.

Con cose come questa, sulla palizzata di cantiere di Porta Ticinese (o Porta Cicca, come la ciamano i milanesi), c’erano anche i 16K.
In particolare, c’era TAWA dei 16K.
Per i non milanesi, però, è utile spiegare l’importanza di questa posizione: la porta sta in mezzo a Piazza XXIV Maggio, di fianco alla Darsena, lungo la circonvallazione interna (quella dove fino a 100 anni fa stavano le mura di Milano, che ora non esistono più) e di fronte a Corso di Porta Ticinese.
Una delle zone più trafficate di Milano a ogni ora del giorno e della notte, e la Porta è proprio al centro.
Non potevi non vederla.
E in mezzo, visto da tutti, ci stava Tawa. 16K.

(foto: Secse)

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16K HoF in Brunelleschi

15 luglio 2016 Lascia un commento

 

Das8 Mone Seden Cano Krema  16k 95-96

Das8 Moné Cano Krema 16K in Via Brunelleschi, Milano, primi anni 90.
L’anno esatto della murata non me lo ricordo più, ma la foto (di Slog) è, invece, del 1995 o 1996.
Siamo in Via Brunelleschi, “lato 16K” (lìaltro lato del ponte era, invece, THP).
In un periodo in cui la Milano sud faceva uscire bombe di stile su questo ponte, oltre a fare proprio “da ponte” tra il primo writing milanese, quello degli anni 80 e primi 90, e il successivo, quello da metà 90’s in poi, che cambierà totalmente la faccia della città.

R.I.P. Moné!

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